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11 domande a Susan Pohl di Laura Marsano

11 domande a Susan Pohl

di Laura Marsano

 

 

 

 


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  • -          Quando ha deciso di scrivere questo libro?


Ho preso questa decisione quando stavo ancora lavorando come cappellano all’Istituto Correzionale Federale in California.


  • -          Cosa l’ha spinta a scrivere questo libro?


Negli Stati Uniti la maggioranza delle persone non vuole pensare alla popolazione carceraria, nonostante la popolarità del programma televisivo “L’Arancione è il nuovo Nero”. Una delle detenute mi domandò di promettere che non l’avrei dimenticata. Disse che le detenute sono “le dimenticate dei dimenticati”. Con questo voleva dire che mentre i detenuti di sesso maschile vengono emarginati dalla società, le detenute vengono totalmente ignorate dal mondo, che ne nega l’esistenza.
Questo libro è il mio contributo per ricordare alla gente che in questo momento ci sono circa 200,000 donne detenute nel sistema penitenziario federale degli Stati Uniti e ognuna di loro ha una storia.


  • -          Nel suo libro parla dei suoi viaggi in Italia, compiuti quando era piuttosto giovane. Avendo vissuto questa esperienza in un’età suggestionabile, quale influenza crede abbia esercitato su di lei e sulla sua lettura della società americana? Pensa che questo contatto con l’Italia abbia in qualche modo ostacolato la sua totale integrazione nella società americana, dato che aveva avuto esperienza di questo mondo così diverso, o è stato in qualche modo un vantaggio?


Come molti Americani, avevo la tendenza a mitizzare lo stile di vita italiano. L’Italia rappresenta per molti di noi tutto quello che manca alla società americana. una famiglia forte e amorevole, un ritmo di vita più lento, un ambiente più cooperativo che competitivo e, naturalmente, eccellente cibo fresco.
Il cambiamento richiede una visione del futuro che desideriamo, la capacità di dire la verità sulla situazione attuale e pianificare il primo passo verso il cambiamento. L’Italia ha rappresentato la mia visione del futuro ideale. Questa visione mi ha permesso di superare molte difficoltà incontrate nel corso della vita e d’altra parte credo che, in qualche modo, mi abbia impedito di sentirmi totalmente integrata nella società e nella cultura americana.


  • -          Com’è cambiata la sua vita dopo il campo scuola buddista? Consiglierebbe ad altri di fare un’esperienza simile? Perchè?


Dopo quell’esperienza sulla morte e il morire al centro di ritiro buddista, il corso della mia vita è cambiato in modo significativo. Non solo ha segnato l’inizio del mio viaggio spirituale, ma mi ha anche offerto l’opportunità di affrontare dei pregiudizi religiosi che ritenevo non fossero più rilevanti nella mia vita. Il ritiro mi ha anche offerto uno spazio sicuro in cui affrontare la mia paura della morte. Alle persone che lottano con questa primordiale paura consiglierei di partecipare a un ritiro buddista del tipo da me descritto nel libro.


  • -          Guardando indietro alle sue precoci esperienze religiose, crede che la fede profonda che nutriva da bambina fosse una parte positiva della sua vita, o crede che fosse piuttosto un segnale della sua infelicità?


Credo che fosse entrambe. Siccome ho avuto un’infanzia poco felice, ho dovuto cercare sollievo e conforto al di fuori della famiglia. Da bambina ho trovato questo senso di amore e accettazione nella mia relazione con Dio. Credo anche di essere nata con il dono della fede, cosa che mi ha permesso di aprirmi alla componente spirituale della mia personalità. In generale la fede che avevo da bambina è stata di grande aiuto nel superare le difficoltà.


  • -          Crede che la ricerca delle cinque pietre sia stato un viaggio mistico o un viaggio spirituale?


Per prima cosa vorrei definire questi due termini: spirituale e psicologico. Credo che al giorno d’oggi, quando parliamo, li consideriamo equivalenti e questo non è di grande aiuto. Per me la dimensione spirituale deriva dalla comprensione che nell’universo esiste una forza più grande di noi, mentre la psicologia ci aiuta a dipanare la psiche personale. Intraprendere una ricerca spirituale spesso conduce a una comprensione psicologica.
La mia ricerca delle cinque pietre è stata la ricerca del senso della vita, riguardo alla mia comprensione di una forza più grande di me, per questo io vedo questa parte del mio cammino più come un’esperienza mistica che un’esperienza psicologica.


-          Con quale criterio ha stabilito che fede, coraggio, gentilezza, servizio e amore sono le sue cinque pietre?

Quello che mi ha guidata in questo viaggio mistico è stata l’intuizione. Da dove scaturisse questa intuizione non saprei, ma credo di essere stata guidata da una forza più grande della mia.


  • -          Secondo lei, qual è il simbolismo delle pietre e perchè la mano di Dio le ha mostrato proprio cinque pietre e non altri oggetti?


Dalla prospettiva della Bibbia, cinque è un numero spesso usato per separare il bene dal male, come nella parabola delle dieci vergini, dove cinque di esse erano stolte e cinque sagge (Matteo 25:2). Credo che la storia che qui si adatta meglio sia la storia di Davide e Golia. Preparandosi a uccidere il gigante, Davide prese cinque sassi levigati (I Samuele 17). Forse nel mio inconscio c’era questa storia quando ho sognato Dio che mi diceva di trovare delle pietre, dei sassi levigati.


  • -          Nel suo libro lei ha detto che prima di iniziare il suo tirocinio alla prigione federale non credeva che la prigione fosse un posto in cui avrebbe voluto lavorare. Al contrario, pensava che il lavoro con i bambini fosse quello più adatto a lei. Com’è cambiata la sua idea lavorando alla prigione?


Prima di lavorare alla prigione non avevo mai conosciuto nessuno che fosse stato in prigione. Non avevo mai intenzionalmente trasgredito una legge federale e così non avevo nessuna capacità di identificarmi con delle donne che erano in detenzione. Volevo lavorare con i bambini in ospedale, perchè avevo lavorato con Marisa e mi ero affezionata a lei e sentivo che avrei potuto identificarmi con dei bambini che fossero in una situazione simile.
Dopo aver iniziato a lavorare nella prigione ho cominciato a vedere ciascuna donna in quanto individuo, con una sua propria storia, piuttosto che sempricemente una “donna in prigione”. Potevo identificarmi con le scelte che quelle donne avevano fatto nelle situazioni in cui si erano ritrovate? No. Il loro cammino non era il mio cammino, le loro scelte non erano le mie scelte. Tuttavia giunsi a capire che sebbene io personalmente non potevo identificarmi con gli avvenimenti della loro vita, potevo identificarmi con la loro umanità. Potevo identificarmi con la loro sofferenza, la loro afflizione, la loro solitudine e i loro rimpianti. Mi resi conto che il nostro legame emotivo era più forte delle nostre differenze. La percezione della nostra umanità comune era più forte della mancanza di identificazione con loro e quindi ero grata di aver avuto l’opportunità di lavorare con questa comunità.

  • -          Se potesse tornare indietro, al suo lavoro nella prigione, c’è qualcosa riguardante se stessa che cambierebbe?


Cambierei diverse cose. Prima di tutto mi sentirei meno intimidita dalla struttura di potere e dall’organizzazione del sistema carcerario. Il sistema è designato a intimidire l’individuo dal momento in cui entra nel perimetro. La recinzione attorno alla prigione non è solo per sicurezza, ma per dimostrare un’autorità inviolabile. Vorrei aver capito più presto che i simboli erano solo simboli e non aver creduto nel potere che provavano a esercitare su di me.
In retrospettiva non sarei così ansiosa di fare la cosa giusta. Avrei più fiducia in me stessa, sulle mie capacità di relazionarmi alle donne della prigione. Sarei più chiara con me stessa che quelle donne avevano fatto delle scelte che io, date le mie condizioni di vita, non avrei mai fatto. Per certi versi le donne della prigione erano proprio come me, ma per altri aspetti essenziali erano completamente diverse da me. Ammetterei questo e ammetterei anche che potevo essere loro di qualche utilità.


  • -          Pensa che ci siano altre pietre da cercare, o cinque è il numero perfetto? Se la risposta è sì, quale sarebbe l’altro numero, altrimenti perchè cinque è il numero perfetto?


Per vari motivi ho sempre avuto un legame speciale con il numero cinque. Ci sono cinque lettere nel mio nome, nel mio secondo nome e nel mio cognome. Per quanto mi riguarda trovare le cinque pietre e scoprire quale significato avessero per me è stato perfetto. Credo che ogni ricerca spirituale sia individuale, ma trova sempre il suo fulcro nel contesto del bene comune. È importante ricordare di chiedersi quale sia il bene comune dell’umanità, specialmente alla luce degli attacchi terroristici di cui siamo stati testimoni ultimamente. Se credi che Dio ti dice di fare qualcosa che è positivo per te e per la tua religione, ma va contro il bene comune dell’umanità, allora la tua idea non viene da Dio.

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